Unistrani Webradio è lieta di presentarvi un interessante gruppo emergente del basso Lazio: i Golconda.
Nella prossima puntata di "Parla con Noi" trasmetteremo delle loro canzoni. Data la complessità del progetto di questa band abbiamo deciso di dare la parola agli stessi autori, Christian e Daniele, per presentarvi il loro concept album e non solo:
Permettete una piccola premessa: Cosʼè il Golconda? E' un bosco nato dalla fantasia di Tiziano Sclavi, posto poco fuori la Londra della famosa serie a fumetti -Dylan Dog- Golconda è il luogo dove si incontrano tutte le dimensioni parallele che compongono lʼuniverso, il luogo dove si scontrano e si sovrappongono dando vita ad eventi improbabili generati dallʼunione caotica di “spazi”, “tempi” e “mondi” abissalmente lontani tra loro.
La nostra band si propone due semplici scopi: 1) Essere la portavoce delle storie che ivi avvengono, come moderni cantastorie; 2) Ricreare nella musica quel peculiare caos che permea il bosco di Golconda.
Da questo secondo obiettivo nasce così il progetto “Thieves of Black Baccaràs”. La -Black Baccarà- è un ibrido floreale generato dalla mano dellʼuomo, è una Rosa Nera. Un fiore che non esiste in natura. Un fiore che quindi necessita dʼessere ricreato artificialmente ma non per questo, noi crediamo, destinato a perdere di valore o di bellezza.
“Thieves of Black Baccaràs” è assimilabile allʼesperimento di due vagabondi che viaggiano ininterrottamente recandosi in luoghi e periodi diversi della Terra. Due vagabondi che rubano a tutti i popoli della terra la loro musica (le rose) per poi ibridarla e creare qualcosa di completamente nuovo (una black baccarà).
Una Black Baccarà diventa quindi il simbolo dʼunione tra culture divise tra loro da migliaia di chilometri e dʼanni. Ecco quindi che un antico canto gaelico si trasforma in un blues anni ʼ50, i devastanti Carmina Burana si lasciano corrompere dalla prorompente passionalità del flamenco.
Per intenderci in maniera più pratica, ogni canzone che farà parte dellʼalbum “Thieves of Black Baccaràs” è un connubio tra unʼ antica musica cantata nella sua lingua originale (un salmo ebraico, un reel gaelico irlandese, un epitaffio greco, una ballata galiziana ecc...) ed un genere più moderno o comunque popolare cantanto in lingua inglese (un motivo brasiliano, del flamenco ballabile, jazz, rock ecc...).
Se ad una prima analisi può nascere la considerazione secondo cui è assurdo cercare di unire generi musicalmente tanto diversi, i nostri tentativi dimostrano come in realtà il tentativo è perfettamente plausibile. Le note, in fondo, sono sette e sette rimangono per tutti i popoli, dallʼalba dei tempi ai nostri giorni.
Le canzoni che trasmetteremo saranno tre:
Teir abhaile Riu:
“Teir abhaile Riu” è un antico canto irlandese in lingua gaelica. Narra della discussione di una ragazza con il padre che la vuole provocare avendo notato i continui sguardi che ella lancia al pifferaio durante la sera di festa. Noi eliminiamo lʼironia lasciando un senso letterale alle parole originali, trasformando il pezzo in un grottesco dramma in cui una povera ragazza, avente migliori aspirazioni, viene quasi costretta a prendere un umile pifferaio come marito.
La ballata viene dunque unita con un classico blues degli anni ʼ30 attraverso cui possiamo mettere ancora più in risalto la frustrazione e la depressione della ragazza che si è trovata intrappolata in questa strana situazione. La “tristezza” è infatti lʼanima e la chiave delle origini del Blues, non a caso il termine deriva dallʼespressione “to have the blue devils” che significa proprio “essere triste”.
Il passaggio dal blues alla musica irlandese si tinge quindi di una volontà particolare, come una trasformazione nellʼanimo della ragazza. Ce la immaginiamo seduta su di un tronco a piangere per la sua triste condizione quando qualcuno cerca di smuoverla, di farle accettare la sua condizione.
Ecco che il senso stesso della canzone giustifica il passaggio di velocità che si ha tra questi due generi che poi è lʼunica vera giustificazione che ci serve. Il blues e le ballate irlandesi sfruttano infatti le medesime scale e dunque le medesime note per raccontarci la loro musica.
Shir Ha-Shrim:
Il Cantico dei Cantici è un salmo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana. è uno dei testi più lirici ed inusuali delle Sacre scritture. è una poesia che canta di passione, raccontando in versi lʼamore di due futuri sposi, con tenerezza ma anche con un ardire di toni ricco di sfumature sensuali ed immagini erotiche. Il messaggio principale è forse proprio questo: lʼamore tra uomo e donna è capace di elevarsi spiritualmente in una dimensione divina purificandone (perfino religiosamente) anche gli aspetti più terreni.
Il testo, cantato in ebraico, segue la melodia scritta da Kiko Arguello, artista spagnolo fondatore di un famoso movimento cattolico nato in una delle più povere periferie di Madrid in una prima comunità formata da gitani analfabeti, vagabondi, ex-carcerati, prostitute ecc. spinti ad un significativo cambiamento interiore grazie alla musica con cui questʼartista faceva loro conoscere gli insegnamenti cristiani.
Prescindendo completamente dallʼaspetto religioso è interessante pensare a quanto potere possa avere la musica se viene ascoltata davvero e sentita nellʼanima. Ecco quindi che questa semplice ma efficace melodia si lascia prendere dai sentimenti dei due amanti divenendo così un breve ma passionale flamenco che lascia subito dopo spazio alla serenità della musica brasiliana: serenità che solo la contemplazione e lʼesaltazione della bellezza della propria compagna sa infondere nello spirito di un uomo innamorato. La musica brasiliana ci sembrava quasi un passaggio obbligatorio con cui abbiamo potuto caricare ancora di più la sensualità delle parole di questi versi Sacri.
Shosholoza:
Shosholoza è un canto tradizionale originario dello Zimbabwe e reso popolare in Sud Africa. Veniva cantato da tutti i lavoratori maschi migranti che lavoravano nelle miniere dʼoro e di diamanti sud-africane. La canzone unisce parole Ndebele e Zulu, è un canto che esprime la durezza del lavoro in miniera ed è in stile “call and response” (una successione di due strofe in cui la seconda è diretta risposta della prima). La parola “shosholoza” significa “vai avanti” ed è usata come incoraggiamento e per infondere speranza negli altri lavoratori, è una parola di solidarietà. Il suono “sho sho” è, in più, unʼonomatopea che richiama il suono dei treni a vapore. La canzone si riferisce infatti al treno che avrebbe riportato a casa i migranti dopo il lavoro. "Shosholoza è una canzone che compara la lotta contro lʼapartheid allʼarrivo di un treno", queste sono le parole di Nelson Mandela descrivendo come lui intonasse il canto durante il suo imprigionamento a Robben Island. Shosholoza diventa quindi, nella nostra personale visione, un canto che sprona ad andare avanti portando sempre con sè, ben piantato nel petto, il seme della libertà. Da qui nasce la volontà di unirlo con la stravaganza del jazz, un genere che potrebbe essere definito come “pura libertà dʼespressione”, pura Libertà musicale. Se ben ponderata, infatti, anche una dissonanza è perfettamente ammessa nel jazz. Ci piace pensare che il genere su cui cantiamo le parole sud-africane elevi ancora di più il significato e la speranza che erano in quei minatori: speranze, appunto, di Libertà.
Speriamo di avervi incuriosito con questo progetto che noi reputiamo molto interessante e senz'altro inedito e originale. A questo punto non resta che darvi appuntamento alla prossima puntata di "Parla con Noi", non mancate.
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