E vai, al cine vacci tu!
Diamine, c’è Bartali che sta passando, e tu mi dici che c’è da andare al cinematografo? Non se ne parla neanche, io scalo ‘sta montagna a piedi, così mi vedo il Ginettaccio, di là che sale, e chissà chi avrà fatto più fatica, se io o lui.
Questa qui, parola più parola meno, è di Paolo Conte e si chiama “Bartali”: quello con il naso triste da italiano allegro. Oh, guardate che “quel naso triste da italiano allegro” è un capolavoro che neanche un biografo dell’accademia dei biografi…
Coppi invece ha la faccia triste, in effetti è triste. Ha quell’aria intellettuale, e infatti piace agli intellettuali. Alla sinistra. Vota comunista ma non lo dice, che è la peggio direbbe un democristiano. Uno tipo Bartali, che dedica ogni vittoria alla Madonna, che va in chiesa nei giorni comandati, che è preso a icona dal papa – Pacelli – il quale arriverà a esecrare pubblicamente l’altro, Coppi, quel laico senza fede, con quella faccia disincantata e chiusa in sé stessa che par sempre contemplare chissà cosa. Un mezzo ligure mezzo piemontese, serio, compito, e fin troppo austero, di fronte a quel guascone, sanguigno del Gino Bartali che lo capiresti da lontano dieci miglia che è un toscanaccio con la “c” impastata e la parolaccia facile.
Questa sì che è una rivalità! E non vuoldir soltanto che se sei comunista simpatizzi per l’Airone e se sei democristiano hai un occhio di riguardo per l’Intramontabile, e ci mancherebbe. Ma no, vuoldire anche che se tifi Bartali sei per forza un bianco a braccetto con i preti, e se tifi Coppi non puoi che essere un rosso di quelli che addavenì. Il viceversa è più impegnativo.
Perché a quel tempo il ciclismo era una cosa seria, il calcio si ritagliava qualche spazietto in prima pagina soltanto quando c’era uno scudetto da festeggiare, però sempre preceduto dall’ordine d’arrivo del Giro: roba da far abortire un principio di guerra civile. Ma andiamo con ordine.
È il 1940, e Fausto Coppi viene notato da alcuni osservatori della Legnano, la squadra di Bartali, già vincitore di due Giri, e un Tour. Il Campionissimo in fieri viene ingaggiato per fare il gregario al Ginettaccio, grande favorito di quella edizione della Corsa Rosa. Bartali però, cade, si fa male, e accumula uno svantaggio che gli pregiudica la lotta alla Maglia. Il direttore sportivo decide allora di dare il via libera a quel giovane neoprofessionista; quel giovane vincerà il Giro.
C’è già chi parla di Giotto e Cimabue, dell’allievo che supera il maestro, e la domanda che tutti si chiedono: è più forte Bartali o è più forte Coppi?
Il tempo per chiederselo – purtroppo – è poco: allo spuntar del sole successivo alla conclusione Giro, il 10 giugno, Benito Mussolini annuncia l’entrata in guerra dell’Italia.
Il secondo conflitto mondiale toglierà sopratutto a Bartali, ma anche a Coppi, il fiore della propria carriera agonistica, e questo sarà un argomento – insieme ad altri, tutto sommato validi – che permette ancora oggi a molti di sostenere che Coppi sia il ciclista più forte di tutti i tempi: più forte di Merckx il quale – un po’ per l’inguria degli anni, un po’ per il talento incredibile – gli ha tolto lo scettro; più forte di Binda al quale – un po’ per l’ingiuria degli anni, un po’ per il talento incredibile – lo aveva tolto lui.
Durante i cinque anni di conflitto i due cercano di arrabattarsi in qualche modo, Coppi tenta in tutte le maniere di non essere mandato al fronte, e per questo accetta di tentare di battere il Record dell’Ora. Ci riuscirà, ma subito dopo verrà inviato in Africa, dove sarà fatto prigioniero.
Bartali correrà anche più rischi, facendo la spola in bici fra una località e l’altra nascondendo nei tubolari documenti necessari a salvare la vita di numerosi ebrei. Per questo verrà ricercato dai fascisti, e si darà alla clandestinità. Per questo, tanti anni dopo, il Presidente Carlo Azeglio Ciampi lo insignirà della medaglia d’oro al valore civile.
Nemmemo alla fine della guerra l’intreccio fra ciclismo e politica – o per meglio dire, storia – si dipanerà. Il Giro del ’46 comincerà in ritardo per attendere gli esiti del referendum costituzionale, e quando comincerà verrà accolto da una sassaiola dei titini che tentano di impedire l’arrivo previsto a Trieste. La direzione di corsa interromperà la tappa, ma fra sassi, insulti e spintoni, 17 coraggiosi riusciranno ad arrivare a Trieste, e a tagliare il traguardo comandati dal triestino Giordano Cottur fra abbracci e calorose ovazioni degli abitanti del capoluogo giuliano. Cottur, tre volte terzo al giro dietro ad avversari come Coppi, Bartali e Fiorenzo Magni, raccontò di aver voluto a tutti i costi terminare la tappa per non dare ragione a coloro che volevano allontanare la sua Trieste dall’Italia.
Quel Giro lo vinse Bartali con pochi secondi di vantaggio su Coppi: ma allora è più forte Bartali?
Il Tour quell’anno non si corse, e Coppi dovette dare appuntamento al proprio avversario e maestro al Giro dell’anno successivo per la rivincita. Rivincita che puntualmente arrivò: primo Coppi, secondo Bartali. Coppi o Bartali, Bartali o Coppi? È a questo momento che si raggiunge l’apice della rivalità, anche in corsa i due sono diversissimi, naturale prosecuzione del loro carattere: Coppi parte sempre in progressione, sembra che non faccia fatica, sempre concentrato, calcolatore. Bartali è più avventato, delle volte parte nei momenti più sbagliati, ma quando parte bene, non ce n’è per nessuno. In pianura da Coppi ce le prende, ma in salita è indomito: l’uomo di ferro viene ribattezzato. I due non si sopportano, è quasi meglio una sconfitta dell’altro, che una propria vittoria, in gruppo non si parlano direttamente, “vai a dire a quello”, “cosa ha detto lui?”, chiedono ai propri gregari investiti del ruolo di ambasciatori. I rapporti via via si appianeranno, e l’attimo che suggellerà il ricongiungimento sarà l’istantanea del gesto più amichevole fra due ciclisti: quella foto della borraccia (in quel caso una bottiglia) che passa fra le mani dei due campioni. Ma anche qui tutti si chiedono: è stato Bartali a passarla a Coppi, o Coppi a passarla a Bartali? Non si saprà mai.
Nel ’48 Bartali decide di tornare al Tour, in Italia il clima politico è molto teso, il 14 luglio, l’attentato a Togliatti sembra bruciare le polveri, vi sono scontri con morti in varie città, e la gente va a manifestare con la pistola nella cintura. Siamo sull’orlo della guerra civile. La squadra di Bartali, lontanissimo in classifica dal primo, sta per comunicare ufficialmente la decisione di ritirarsi dalla corsa. È in quel momento che a Bartali arriva una telefonata di Alcide De Gasperi che spiega la tensione, chiedendogli se è in grado di vincere l’indomani, per calmierare gli animi delle folle. Gino risponde: “ci penso io”. L’indomani va in fuga e guadagna più di 20 minuti alla maglia rosa; dalla radio la notizia giunge nel Belpaese, poi di persona in persona: Bartali ha vinto! Il giorno successivo, mentre Togliatti trasmette il primo messaggio alla radio rassicurando tutti sulle sue condizioni di salute e intimando la massima calma, Bartali va a conquistare definitivamente la maglia gialla che porterà a Parigi, dieci anni dopo la sua prima vittoria, evento mai ripetutosi.
E Coppi?
Scusa Ameri, clamoroso al Cibali. Campioni del Mondo (x3). Un uomo solo al comando. Queste e poche altre sono le glorificate frasi salite agli altari dell’imperitura memoria sportiva, non senza averla oltrepassata. L’uomo solo al comando era Fausto Coppi. Anzi è. “Un uomo solo al comando… la sua maglia è bianco celeste… il suo nome Fausto Coppi”, così scandito; a leggerlo è una cosa, a sentirlo tutta un’altra.
Si apre così il collegamento radiofonico della Cuneo-Pinerolo del ‘49. Fausto Coppi è scattato a 190km dall’arrivo con quattro montagne ancora da scalare. Non ci crede nessuno, neanche Bartali. Alla fine ci deve credere, e sulla seconda salita, l’Izoard, scatta anche lui. A Pinerolo Coppi ha 12 minuti di vantaggio su Bartali, e 20 su Alfredo Martini e Cottur.
Dopo questa che è universalmente riconosciuta come la più grande impresa della storia del ciclismo (forse per situazione atmosferica avvicinata da quella di Gaul sul Bondone), vince il giro, e – nello stesso anno – il Tour de France. Primo corridore a riuscirci. Gli sconsigliano di andarci, al Tour: ha già trent’anni e non l’ha mai fatto, in quel periodo in Francia fa molto caldo, non è il suo terreno, perché metterci in gioco? Se ce l’ha fatta Bartali ce la faccio anche io, dice Coppi.
Vincerà un altro Tour e altri due Giri, mentre il rivale appende la bicicletta al chiodo. Poi smetterà di vincere anche lui, qualcuno dirà per colpa della Dama Bianca, una distinta signora già sposata e con figli – come lo era del resto il corridore – che scontò il carcere e poi il confino per quella relazione con il Campionissimo che un’Italia senza il divorzio davvero non poteva accettare.
Morì dei postumi di un viaggio in Africa per una malaria non diagnosticata, dopo essere stato assunto proprio da Gino Bartali, che nella sua nuova veste di direttore sportivo voleva rilanciarlo.
Coppi invitò anche Bartali a seguirlo nell’allora Alto Volta, ma Bartali declinò preferendo rimanere con la propria famiglia. Molto, di Coppi, ce lo ha raccontato lo stesso Bartali che campò quasi novant’anni, continuando a dire sempre come la pensava, brusco e irruento: del ciclismo, dello sport, della politica, di qualunque cosa. E quando c’era qualcosa che non gli andava così a genio, era celebre come diceva sferzante: gli è tutto sbagliato, tutto da rifare!
Quella morte – così misteriosa – lo rese immortale, scrisse un giornalista transalpino per il quale o Coppi era semplicemente le Grand Fausto, anzi Fotó, alla francese. Chissà se una fine così prematura abbia giovato o meno al mito del Campionissimo. Forse no.
C’è chi ha sintetizzato così: “Merckx è stato il ciclista più forte di tutti i tempi, Coppi il più grande”.
“Gli è tutto da rifare”, avrebbe detto Gino.
Cosimo Francini
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