13 dicembre 2011

La terza dimensione di Ligabue




Ligabue torna al cinema. Questa volta niente storie di formazione anni ’60, niente più storie da bar della bassa emiliana, ma ben due ore e quindici minuti di proiezione del live di Campovolo in formato 3D.

Troppo facile qua una stroncatura. Anche prima di aver visto il film. Il problema è infatti strutturale non stilistico: vedersi un live in un multisala è come provare a fare sesso senza togliersi le mutande.


Lasciando un attimo da parte la pochezza oramai decennale dell’offerta musicale del rocker benzinaio, andiamo ad analizzare, seppur in maniera rozza il fenomeno del 3D. Un fenomeno abbastanza esplicativo della crisi nera del cinema in questo inizio di millennio.

Analizziamolo partendo da lontano: 1977 negli Stati Uniti la gente esce dai cinema dove è stata appena proiettata la prima puntata della saga di Star Wars. Negli occhi degli spettatori l’emozione di aver visto non tanto qualcosa di mirabile, ma sicuramente un prodotto totalmente NUOVO.

Dicembre 2010: negli Stati Uniti la gente esce dai cinema dove è stata appena proiettata l’opera ultima di James Cameron (Terminator, True Lies, Titanic ecc..) Avatar. Negli occhi degli spettatori l’emozione di due ore di effetti speciali alla lunga nauseanti e dopo qualche settimana la sensazione fastidiosa di aver rivisto Pochaontas.

Nonostante questo fastidio diffuso dopo Avatar il 3D si impone in quasi tutti i canali di distribuzione: una tecnica fino a quel momento relegata ai parchi di divertimento, al B movie od al Revival di prodotti anni 80′, inizia a diventare accessorio necessario per qualsiasi produzione che voglia definirsi “di massa”.

Non sono un ludddista che vede nelle novità della tecnologia l’anticamera della dannazione. E nemmeno un occhialuto che crede che il cinema debba avere per forza una mission che vada oltre la pura, semplice (e nobilissima) arte dell’intrattenimento.
Tuttavia sono convinto che le 3 dimensioni non siano una innovazione che permetta all’arte del grande schermo di rappresentare meglio la realtà o di dipingere meglio l’immaginario.

In un periodo di calo progressivo degli accessi nelle sale, calo dovuto sicuramente a più fattori, molti dei quali esterni al mondo del cinema, il 3D appare ormai inesorabilmente come un bollino da applicare a prodotti molto spesso scadenti proposti peraltro con una significativa maggiorazione di prezzo.

Quando finirà l’effetto sorpresa del 3D cosa rimarrà del pubblico deluso ed arrabbiato dell’ultimo Tim Burton o delle cagate dei vari Capitan America ecc..? Chi fermerà gli sbadigli di un pubblico a cui si osa ripropinare un Re Leone facendo pagare 10 Euro (11 se sprovvisti di occhialini) una misera dimensione in più?

Quattro anni fa l’esplosione del credito al consumo dette al mondo un po’ di tempo di respiro prima della crisi: dare la possibilità di consumare anche a chi non aveva liquidi per compensare una produttività che non era capace di autoregolarsi in maniera virtuosa. Credo che lo stesso stia succedendo al cinema di oggi: l’aggiunta di un orpello luminoso ma fragile come il 3D ha dato respiro alla grande distribuzione. Ma la crisi prima o poi arriva per tutti.

C'è una soluzione?

Sì, puntare sulla qualità dei prodotti, smettere di fare la guerra al peer to peer (tanto è una guerra persa), non far gestire (per quanto riguarda l’Italia e l’europa) dalla politica i fondi per il cinema vedere la cultura come un mezzo di comunicazione a doppia entrata e non pensare più che esiste una massa anabolizzata a cui si può propinare tutto e non esiste più una casta di santoni insigniti del dovere divino di “fare arte”. Riportare il cinema nei piccoli centri rendendo accessibile il costo delle pellicole liberalizzandone la distribuzione, ripensare a nuovi spazi per le proiezioni, insegnare il cinema ai bambini iniziare a vedere il mondo come una narrazione, rivisitabile e riproducibile. Insomma sbaraccare tutto. Un po’ diverso che proiettare il vecchio Liga.


Cosimo Francini su Cosa fare quando piove

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