Bentornati su Dalla A alla Z, il viaggio di uRadio attraverso la musica del 2011!
Oggi infornatona di lettere! Tutte in una volta, a voi H, I, J e K! Buona lettura e buon ascolto!
Skying |
Ecco, qui gli ascoltatori si sono un po' divisi. Reduci dal folgorante secondo album Primary Colours del 2009, probabilmente miglior disco di quell'anno e chiave di lettura originalissima di un nu-gaze fresco, giovane e tutto da inventare, i The Horrors dovevano scalare veramente una montagna per questo Skying, se non altro per dimostrare di voler somigliare più alla loro incarnazione del secondo album che non a quella del primo - l'esordio Strange House non merita di essere ricordato per qualcosa, se non per il fatto di essere irrimediabilmente brutto -. Da questo punto di vista la missione è sicuramente compiuta, ogni pezzo conferma la maturità artistica raggiunta da Badwan e soci a colpi di squarci di feedback rifratti nell'orizzonte di questo cielo, un po' romantico e un po' espressionista.
La dimensione pop alla base del progetto è sempre più diluita nella wave e nel mare magnum delle chitarre, con le tastiere talvolta ad assecondare gli scenari lisergici che ne derivano, talvolta ad arricciolarsi intorno. Ma, come dicevo inizialmente, gli ascoltatori si sono un po' divisi: perché se è vero che questa prova è di assoluto valore e afferma gli Horrors come band di punta dello scenario UK, è altrettanto vero che molti in questo album non hanno visto alcun progresso rispetto al precedente album, rispetto al quale si è persa la fulminante immediatezza a vantaggio di un appesantimento introspettivo che risulta più adatto a stati di allucinazione che non di veglia: se vogliamo, Skying è un bel "viaggione", fatto anche di pezzi notevoli, ma troppo dilatato e troppo poco a fuoco per bissare la qualità del suo predecessore. Un'ottima prova comunque, ce ne gioviamo e li aspettiamo al varco.
l'iPod Classic |
Come tutti sapranno - direi che i media non hanno mancato di farcelo sapere - Steve Jobs non c'è più, e la Apple entra necessariamente in un cruciale periodo di transizione che ne definirà la fortuna a venire - la presente non si discute -. Uno dei nodi principali del futuro nell'azienda sta proprio in una delle sue "i" più celebri, se non nella "i" per eccellenza: l'iPod è al capolinea? Dieci anni sono passati dal lancio di un oggetto che ha fatto tendenza, costume, storia: come non c'è crema al cacao spalmabile che non venga paragonata alla Nutella o bibita gassata che non venga accostata alla Coca Cola ebbene, non c'è lettore mp3 che possa non fare i conti con l'iPod, oggetto anzitutto di culto, le cui fortune girano - letteralmente - attorno a quella rotellina. Perché la rotellina, proprio lei, è stata il colpo di genio della Apple, che con essa ha creato le navigazione "touch" prima dei touchscreen e ci ha fatto credere che semplicemente roteando un dito potevamo srotolare una vita di musica. Perché sì, un'altra caratteristica dell'iPod, fin dall'inizio, è stata la sua capacità, che permetteva davvero di portarsi in tasca la propria libreria musicale nella sua interezza. E poi, cosa fondamentale, l'iPod è bello, dà piacere al solo guardarlo, maneggiarlo, ha creato uno standard di stile con il quale tutti i concorrenti hanno dovuto confrontarsi, con dubbie e alterne fortune.
Ed è così, dopo anni di successo, che ha cominciato a girare un'indiscrezione che pare però molto concreta: l'iPod sta per finire in pensione. L'ascesa delle tecnologie touch avrebbe infatti spinto la Apple a puntare tutto su iPhone e su iPod Touch e Nano, interrompendo la produzione dei modelli Classic e Shuffle. Certo, ce ne faremo una ragione, ma un po' più di rispetto, forse, quella rotellina se lo meriterebbe, avendo quasi da sola ritirato su le sorti dell'azienda di Cupertino. Invece no: l'iPod, quello classico, il primo, quello bellissimo e geniale, probabilmente non ci sarà più. E io, francamente, sono un pochino triste.
Kiss Each Other Clean |
Quando "folk" è una parola riduttiva: Samuel Beam, per tutti Iron & Wine, al suo quarto lavoro abbandona definitivamente le atmosfere campestri, mette la sua esperienza in un fagottino e se ne va in città. Kiss Each Other Clean ha quel piglio pop che l'artista della South Carolina non aveva mai affrontato con completa convinzione, e rappresenta un patchwork sonoro di incredibile eterogeneità: i primi secondi del disco sono drone, ma dentro poi si incontrano anche il blues, la musica tradizionale americana, barlumi di elettronica, perfino la world music - sudamerica in particolare -. Il tutto, ovviamente, cucito insieme alle luminose melodie di questo raffinatissimo cantastorie che oltre oceano sta cominciando a raccogliere i suoi frutti, ma che qua in Europa ancora in troppi ignorano.
Audio Video Disco |
Certo, mica è brutto il nuovo Audio Video Disco, ma siamo lontani dai fasti del grandissimo predecessore † (Cross), portatore sano di quel french touch che di fatto ha posto i Justice secondi solo ai Daft Punk nella scena nazionale elettronica transalpina - e comunque in buona posizione a livello mondiale -. Da apprezzare c'è il tentativo audace di omaggiare il rock degli anni settanta e ottanta attraverso la strumentazione contemporanea, citando apertamente Led Zeppelin, AC/DC, barocchismi queeniani e infilandoli in un contesto compattissimo che nei toni epici - e talvolta pacchiani - ricorda la versione cinematografica di Tommy degli Who. Il risultato è un po' straniante, e nei momenti peggiori verrebbe da pensare di trovarsi davanti alla colonna sonora riveduta e corretta di un qualsiasi episodio dell saga di Rocky. Lo si ascolta con piacere Audio Video Disco, se non altro perché risulta un bell'esperimento, ma considerando quanto ci avevano fatto ballare in passato i Justice allora ecco che il nuovo arrivato non va molto oltre una piena sufficienza.
The Future is Medieval |
Questa non è una segnalazione che riguarda l'album dei Kaiser Chiefs. Anzi, diciamolo subito, The Future is Medieval è bruttoccio, solita formuletta nu-rock sullo stampo del poco di carino che hanno fatto in passato (Employment era divertente). Ciò che è da segnalare è semmai il metodo iniziale di distribuzione scelto dalla band per promuovere i nuovi pezzi. Questi - una ventina - venivano messi sul sito della band a disposizione dell'utente, che poteva ascoltarne le anteprime e selezionare una tracklist di 10 pezzi, che avrebbe poi potuto acquistare. Inoltre, ogni utente avrebbe poi potuto vendere la sua creazione ad altra gente, destinando una parte del ricavato ai Kaiser Chiefs. Ora, non sappiamo francamente se la cosa abbia avuto successo, ma dobbiamo ammettere che la trovata è simpatica e testimonia come le band si impegnino sempre più per creare metodi di distribuzione creativi. Una selezione di quei pezzi è stata pubblicata ufficialmente dalla band in un secondo momento, e il nostro sintetico parere iniziale se riferisce a quella selezione lì... E francamente come sarebbe potuto essere altrimenti? The Future is Medieval, almeno all'inizio, era un non-album, la negazione assoluta di ciò che è un assemblaggio organico dei pezzi, in un certo senso il contrario esatto di ciò che ci si aspetta da dei musicisti pop. Quindi, ricapitolando: una bella pensata che lascia qualche perplessità di fondo nei confronti del senso complessivo del progetto e tanta musica mediocre. Non vedete l'ora di ascoltarli ora, eh?
Velociraptor |
A distanza di due anni dall'ultimo album West Ryder Pauper Lunatic Asylum tornano i Kasabian con questo Velociraptor.
Un lavoro che tenta di essere possente e agile come l'animale di cui porta il nome. In realtà da questo nuovo album ci si sarebbe aspettato qualcosa di più, o meglio, qualcosa di nuovo. Non ci sono molti cambi rispetto al passato, ma il disco di Sergio Pizzorno e soci si fa comunque apprezzare. in pezzi come Switchblade Smile e Velociraptor nei quali si cimentano in quei meccanismi dance rock che hanno fatto la fortuna della band di Leicester.
Altra nota di merito va per Acid Turkish Bath (Shelter From The Storm) dai ritmi arabeggianti che danno vita a un'atmosfera magica e orientale da cui ci lasciamo volentieri trasportare.
(per questo contributo si ringrazia sentitamente Vì!)
The Path of Totality |
In gioventù li avevo anche apprezzati, eh, e piaccia o non piaccia sono stati una band chiave degli anni '90, avendo loro sdoganato quel crossover che poi tanto ci avrebbe fatto penare nei suoi sviluppi nu-metallici, ma in qualità di persona che ha deciso di scrivere un po' di questo 2011 mi sento un po' come la maestra sconsolata agli alunni discoli: "ma io, con voi, che devo fare?". Appunto, che si deve fare con i Korn, band anacronistica andata ben oltre la naturale data di scadenza? Jonathan Davis, giustamente, ci prova: il suo
Eravamo dubstep prima che ci fosse la dubstepsuona come "non ho rubato le caramelle, erano già mie" e fa un po' sorridere, alla luce del loro ultimo The Path of Totality, album difficilmente descrivibile senza utilizzare la parola "ridicolo". Si dirà, "capperi, però è vero che il loro suono è stravolto, è vero che la produzione di tutti questi artisti dubstep - Skrillex, Noisia, Excision, Downlink etc. - è una ventata nuova nei loro pezzi!". Vero, ma di che stiamo parlando davvero? Nient'altro che di pezzi esattamente identici ai precedenti - forma-canzone pop, chitarre poderosamente e plasticosamente metalliche - ai quali è stato messo un vestitino luccicoso, un involucro sonoro elettronico fatto più di smanie e ghiribizzi che di contenuti. Questa è la dubstep? Questa roba è ciò di cui i Korn vanno fieri? Benissimo, per utilizzare un'ultima metafora bambinesca noi li lasciamo giocare a far finta di essere ciò che vogliono, come le bambine che si vestono da principesse e i bambini da Zorro. Bravi bimbi! Che teneri che siete!
Oggi, lo ammettiamo, siamo stati un po' cattivelli in qua e là... Che dite, lo rifacciamo anche con la lettera L? Vedremo... Non perdetevi il prossimo post di Dalla A alla Z! A presto!
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