Nuovo post! Anche oggi tocca a Dalla A alla Z, il viaggio di uRadio attraverso la musica del 2011!
Concludiamo la lettera D iniziata nella scorsa puntata e già che ci siamo facciamo anche la E!
Buona lettura e buoni ascolti!
Don't Say We Didn't Warn You |
Scriviamo questo post non perché ci piacciano particolarmente i Does It Offend You, Yeah?, ma perché ci divertono, quello sì. Il discorso che vogliamo fare è simile a quello fatto alla lettera C per i Cani: i DIOYY? sono un gruppetto di poche pretese, e il loro Don't Say We Didn't Warn You va su questa scia, essendo un buon disco easy listening e piuttosto danzereccio, tanto da sfondare pesantemente a lunghi tratti nella nu rave.
Al contrario dei Cani nazionali però, che forse impegnandosi un futuro se lo possono costruire, se non altro come cantautori fuori dalle righe, non vediamo un gran futuro per la band britannica, tanto simpatica quanto difficilmente inquadrabile in una prospettiva diversa da quella che si sono ritagliati, ovvero quella da Klaxons di serie B. Se poi si considera che gli stessi Klaxons con l'ultimo lavoro hanno fatto un bel buco nell'acqua allora fossimo i DIOYY? cominceremo a preoccuparci.
Portamento |
Paragonati in tutti i modi possibili agli Smiths, i The Drums non è che facciano molto per discostarsi dall'immagine di eredi di Morrissey che gli è stata cucita addosso, il che non è necessariamente un male, anzi: gli Smiths sono una delle più grandi band di sempre e pur mantenendo le dovute proporzioni la band di Portamento dimostra di reggere benissimo il confronto, aggiornando la ricetta romantica agli (ormai) anni Dieci. O almeno, per ora ci riescono: dopo la bomba del primo piacevolissimo disco omonimo dimostrano di avere, perdonatemi la battuta, un buon Portamento, un'ottima capacità di rendere fresche idee che vanno per la trentina. L'unico dubbio, appunto, è: quanto a lungo ci riusciranno? Un terzo disco sulla scia di Portamento sarebbe un buco nell'acqua, dopo che si saranno goduti i buoni riscontri di adesso dovranno inventarsi qualcosa. Ma per ora direi che ci siamo.
L'eroticissimo Skrillex |
Una bella storia… che sta finendo a schifio. La facilità di registrare e diffondere le proprie creazioni è indubbiamente una grande cosa, una vera possibilità, ma ha il difetto di creare mostri, di generare sì qualità, ma di disperderla in un oceano di proposte di gusto e qualità quantomeno opinabile. E questa purtroppo sta diventando la storia della dubstep, che per chi non lo sapesse è un genere dell'elettronica nato a Londra e lì sviluppatosi nel corso degli anni Zero, che fa dei ritmi sincopati la sua ragion d'essere e che li coniuga con un'attenzione particolarissima alla resa sonora e un rallentamento repentino dei battiti per minuto. Abbiamo già parlato alla B del percorso di quest'anno di Burial, guru del genere, che sta continuando divinamente nella sua strada di ricerca e contaminazione, ora tocca purtroppo parlare della nota dolente, che sta nell'appiattimento totale della scena: migliaia di dj e produttori stanno ora facendo le stesse cose, hanno capito che la tendenza odierna è settare la velocità dei brani a 140 bpm, sparare un po' di beat a caso lì nel mezzo e smanettare qua e là l'oscillatore del Korg. Detto, fatto: ci ritroviamo immersi fino al collo in ettolitri di musica sempre identica a se stessa. Se potevano fare del male alla dubstep era togliendole l'imprevedibilità, e così hanno fatto. E il farabutto più grande, da questo punto di vista, è il pischelletto Skrillex, dj che ormai da Lady Gaga a mia nonna ha remixato davvero tutto e che ha contribuito non poco allo sputtanamento del genere, unendo alle suddette pochezze dei produttori dubstep un "gusto" che non esito a definire kitch, nella peggiore delle accezioni possibili. Della sua partecipazione al nuovo album dei Korn ne parleremo alla lettera K, tutto ciò che ci sentiamo di dire ancora di lui e dei suoi amichetti spippolatori è che se volevano ridurre una delle scene più innovative e promettenti degli anni '00 a un antiestetico pseudo-trip da discoteca, be' ce l'hanno fatta.
Build a Rocket Boys! |
Troppo bravi erano stati gli Elbow con il precedente The Seldom Seen Kid del 2008 per non insabbiarsi un pochino con questo Build a Rocket Boys!. Il risultato è simile a quello del predecessore, ma prevedibilmente più appannato. Un buon album comunque: gli Elbow si dimostrano a loro agio nello sguazzare in una scena alterntive post-radioheadiana che attraversano in lungo e largo, passando da momenti di toccante e dilatato lirismo a immediate schitarrate pop rock, con buone spruzzate elettroniche a condire l'insieme. Di sicuro sottotono rispetto al passato recente, questo album è però una prova molto più che discreta, non ce la sentiamo assolutamente di bocciarlo… Tutto questo, ovviamente, nella speranza che gli Elbow non invecchino così!
EMI, il celeberrimo marchio |
Rien ne va plus: dopo diversi anni di agonia, è successo ciò che ci si aspettava, la gloriosa EMI non ha retto il colpo del nuovo millennio ed è stata cannibalizzata della Universal e della Sony. La major di Beatles, Beach Boys, Rolling Stones, Pink Floyd, Kraftwerk, Ramones, Radiohead e chi più ne ha più ne metta ha accusato più di tutte le colleghe l'avvento della digitalizzazione della musica, complici amministratori scellerati e la fuga degli artisti da essa. Il cerchio quindi si stringe: il monopolio delle suddette Universal e Sony più la Warner si rafforza ulteriormente anche se per loro lo scenario non è dei più incoraggianti, gli conviene navigare a vista. Un pochino per la EMI quasi ci dispiace, bene o male ha segnato la storia della musica come la conosciamo ed è stata protagonista fondamentale dietro la fortuna di una miriade di artisti che amiamo. La ricordiamo però così, con la canzone più famosa dedicatagli, che di certo non era gentilissima e che probabilmente ci vedeva lungo.
Emika |
Questa è la dubstep che ci piace! Anche se forse stiamo già parlando di post-dubstep… I confini tra i due termini, potete capire, sono ancora molto labili, e la differenza la sta tracciando perlopiù l'immobilismo di una parte della scena, sempre più involuta in sé, contrapposto al coraggioso tentativo di alcuni artisti - tra cui Emika - di alterare i fattori che hanno fatto la fortuna del genere. RImandando il discorso complessivo alla lettera P, vi consigliamo l'omonimo Emika per conoscere questa artista, la cui origine - Bristol - tradisce una crescita artistica sicuramente influenzatissima da Massive Attack, Portishead e Tricky. Uno dei nuovi nomi che speriamo possa portare in alto una bandiera forse troppo presto ammainata.
Ep: l'invasione dei mini-album
Abbiamo già parlato alla lettera C di come i cd stiano per andare in soffitta, ma non abbiamo accennato alle conseguenze che ciò avrà - e sta già avendo - nei processi di creazione e fruizione della musica. Non è un discorso fine a sé stesso, da che mondo è mondo il supporto e le condizioni di ascolto influiscono pesantemente sulla forma della musica: basti pensare a come i concetti di lato A e lato B abbiano spinto i musicisti, decenni fa, a creare lunghissime suite che andassero a riempire intere facciate, o come la versatilità delle audiocassette abbia dato il via, soprattutto dagli anni Ottanta, al fenomeno delle compilation personalizzate dagli stessi ascoltatori - chiamate mixtape non a caso -. Ma cosa comportano la sparizione di supporto fisico, l'ascolto attraverso lettori di file, l'acquisto e la diffusione on line? Da una parte abbiamo il rinverdirsi della pratica del mixtape, mai scomparsa al tempo dei cd e definitivamente riesplosa nell'epoca delle playlist, ma soprattutto abbiamo il sempre più massiccio ricorso, più che alla forma dell'lp cui ci aveva abituato il cd, a quella dell'ep: la brevità diventa un obbligo da rispettare - più breve sarà una pubblicazione e più sarà facile procurarne -, ma anche una dote, una possibilità da sfruttare. Nel confezionare un ep infatti gli artisti sanno di non potersi permettere l'inserimento di pezzi mediocri, di giri a vuoto, e tendono a lavorare molto sulla qualità di essi. Non di meno, registrare un ep occupa meno tempo e denaro che registrare un lp, permettendo di potersi dedicare appieno all'attività concertistica o di infilarsi nuovamente in studio a preparare nuovi lavori. Molto interessante in questo senso è la tendenza che si sta sviluppando di diffondere gratuitamente un ep per promuovere la pubblicazione di lì a poco di un lp - a pagamento -: una formula questa che ben concilia l'esigenza del pubblico di farsi un'idea prima di acquistare e quella dei musicisti di guadagnare. Visto che il mondo va avanti anche senza la EMI?!
The Ninth Inning, nuovo ep di Gonjasufi, esempio di pubblicazione gratuita che promuove l'album di imminente uscita. Già che ci siamo: qui c'è il link per scaricarlo... Può essere interessante :) |
Anche per oggi è andata... Tra un paio di giorni, se nel frattempo non cambia l'alfabeto, tocca alla lettera F! A presto!
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