Con qualche giorno di ritardo rispetto alla tabella di marcia che ci eravamo imposti, vi presentiamo la terza parte di Dalla A alla Z, la cavalcata di uRadio attraverso la musica del 2011! Dopo la lettera A e la prima parte della B oggi proseguiamo il nostro viaggio concludendo quest'ultima, lunghissima lettera... Buona lettura!
The Rip Tide |
Non c'è più molto da aggiungere, al momento, sul conto di Beirut, visti gli elogi che si è preso negli scorsi anni, e visto che l'ultimo The Rip Tide aggiunge poco di nuovo alla sua esperienza non c'è granché da dire. Da una parte potremmo definire il nuovo lavoro come un "compitino" svolto alla perfezione, dall'altra diciamo che ci piace come sempre, il "solito" compitino:
il "solito" peregrinare tra le sonorità di europee e centroamericane, la "solita" gran classe nel metterle insieme. Di meno "solito" forse a sto giro c'è giusto un riflesso di Stati Uniti, un desiderio di quell'America che dopotutto è la sua casa-dolce-casa. Poco da dire insomma, c'è solo da avere un cuore grande così per ricevere tutto il "solito" affetto di Beirut: una solida sicurezza.
Biophilia |
A prenderli separatamente, i pezzi di Biophilia, si ha l'idea di una Björk grandiosa, come poi - quasi - sempre è. Il problema però non sta affatto nel dettaglio, bensì nel complesso: questo album è un mastodontico, pachidermico atto di forza del folletto d'Islanda, un album oggettivamente con due palle così, sicuramente compattissimo. Stavolta però la compattezza non aiuta, perché Biophilia, nei suoi 49 minuti, è insfangabile, fin troppo pesante. Manca forse il guizzo di un tempo, l'impressione è che lei si diverta come una matta a fare ciò che vuole senza pensare poi all'effettiva fruibilità, tirando fuori un album tanto erudito quanto a tratti pedante. Poi, ehi, il talento non si discute: la fragilità di Moon, l'incedere marziale di Thunderbolt, la tensione astrofobica di Dark Matter, la schizofrenia di Sacrifice bisogna saperli catalizzare a dovere perché su disco non risultino, appunto, pedanti. In questo senso, missione compiuta con lode, le singole tracce lasciano la bava alla bocca. Il problema, come detto, è sulla lunga distanza, nell'interezza dell'album: poche storture che chiedevano solo di essere un po' aggiustate. Evidentemente Björk aveva altro da fare, visto che ha voluto rendere Biophilia il primo "app-album" della storia, ovvero un progetto in collaborazione con la Apple che coniugasse la fruizione della musica all'esperienza dell'iPad. Bellissima l'idea, un po' meno la resa, piuttosto fine a sé stessa. Insomma, questa ormai quasi cinquantenne d'ora in poi va presa così, piaccia o non piaccia: a piccole dosi di grandissimo talento.
Valhalla Dancehall |
Per chi non avesse mai ascoltato i British Sea Power: suonano simili agli Arcade Fire, senza però infiorettature orchestrali, con una quintalata di chitarre in più e soprattutto con una tonnellata di spocchia in meno. Con Valhalla Dancehall arrivano al loro quarto lavoro con l'esperienza di chi la sa lunga: aldilà della copertina, a mio parere bellissima, la fa da padrone la peculiarità della band inglese, fondata sì sulla visceralità emotiva, ma anche e soprattutto sulla ricostruzione post punk di chitarre che sembrano averne viste delle belle, dalla melodia della new wave fino alle bordate soniche del post rock più sensibile allo shoegaze. Non sarà un capolavoro, ma di certo è un album su cui si possono spendere fin troppe parole - e troppo confuse - senza che gli si possa far giustizia: non vi rimane che ascoltarlo!
Vol. 2 - Poveri Cristi |
Bella gatta da pelare questo secondo lavoro, Vol.2 - Poveri Cristi, per Dario Brunori, in arte Brunori Sas, se con il disco d'esordio, Vol.1, riesce a portare a casa un Premio Ciampi per il miglior Debutto e una Targa Tenco come miglior artista emergente.
Però c'è da dire che il cantautore cosentino, piemontese d'adozione, se la cava alla grande fornendo con il suo nuovo lavoro uno spaccato d'Italia estremamente realistico.
L'album del 2011 vede una positiva maturazione, camminando in bilico tra malinconia e ironia.
A conferma del buon lavoro svolto da Brunori vince quest'anno il premio PIMI per il Miglior Live.
(per questo contributo si ringrazia sentitamente Boda!)
Bon Iver |
Uno dei miracoli di questo 2011. Miracolo non perché di Bon Iver - al secolo Justin Vernon - non si fossero colte le capacità - il suo For Emma, Forever Ago verrà ricordato molto a lungo per la sua impellenza e profondità -, ma anzi perché era francamente inimmaginabile un secondo disco che si avvicinasse anche vagamente alla qualità del precedente - figuriamoci che la superasse -. Miracolo perché di folk stiamo parlando, e malgrado ciò da una parte Vernon ha visto bene di far valere tutto ciò che ha imparato dalla pregressa collaborazione con Kanye West (!), slabbrando la voce di autotune e spennellando synth qua e là, dall'altra questo disco omonimo ha la potenza espressiva di un sonnacchioso e onirico viaggio tra le wasteland del post rock, un lungo cammino da Perth a Calgary senza trovare veramente casa - da questo punto di vista, siamo agli antipodi rispetto al disco di Beirut con cui si apre questo post -. Miracolo perché Bon Iver tiene insieme speranza e nichilismo, apatia e voglia di partire, intimità e massimi sistemi, vecchio e nuovo.
Solo un disco del genere poteva scalfire la stabilità di James Blake come disco dell'anno: chi scrive preferisce comunque l'annata di JB, ma crede che siamo molto fortunati ad avere goduto di due dischi del genere in un solo anno.
Nuovi rimedi per la miopia |
Nuovi rimendi per la miopia segna un almeno parziale allontanamento dalle frivolezze di Contatti per Bugo, uno scollamento abbastanza repentino dalle sonorità robustamente sintetiche del predecessore, pur non totale. Christian Bugatti si conferma un buon songwriter e produttore, proponendoci un mélange di pop rock e di elettroniche tutto da scoprire, come al solito. Un lavoro certosino come al solito, forse con la maggiore ricerca sonora che stavolta prevale sulla spietatezza delle melodie del precedente: ricordate C'è crisi, Nel giro giusto, Love Boat? Ecco, poco o niente troverete di ciò dentro a Nuovi rimedi per la miopia, che non di meno regala momenti estremamente catchy e ci soddisfa per il suo livello generale. Una sufficienza più che piena, tendente decisamente verso il buono.
Four Walls/Paradise Circus |
Tre ep, di cui due in collaborazione con artisti di calibro mondiale: ecco l'annata di gran qualità di William Bevan, tra i massimi esponenti - il massimo? - del movimento dubstep (ne parliamo alla lettera D) con il nome Burial. Due featuring, dicevamo: il primo - nientepopodimeno che con sua maestà Thom Yorke e Four Tet - è la doppietta Ego/Mirror, dove Bevan fa ampiamente la parte del leone lasciando ai due le intessiture più superficiali; quindi c'è Four Walls/Paradise Circus, dove il nostro inglesino si lascia trascinare completamente dai Massive Attack in un'epoca non sua, quella del trip hop, donandole la freschezza della sua più recente esperienza. Quattro pezzi in tutto, di lungo minutaggio e di livello molto alto, ma che risultano comunque inferiori al bellissimo e notturno Street Halo, l'ep di tre tracce fatto in solitaria che ci sprofonda negli abissi metropolitani e alienanti della contemporaneità, suonando la carica con quell'autentico capolavoro che è la title track e lavorando per tutta la sua durata sulla sostanza dei suoni, materica e solida come non mai. In attesa del terzo album l'hype è a mille, Burial ha le carte in regola per essere uno degli artisti chiave per tutto il decennio a venire, dopo esserlo già stato per gli anni '00.
Anche oggi speriamo che le nostre proposte di lettura vi siano piaciute, il prossimo appuntamento - con la lettera C - speriamo di poterlo pubblicare già domani, per riguadagnare il terreno perso negli scorsi giorni... ma non vi assicuriamo nulla! :D
A presto!
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